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21/05/2013
"Pietro Porcinai. Il progetto del paesaggio nel xx secolo". A cura di Luigi Latini e Mariapia Cunico. Incontro con la co-autrice l'arch.tto Francesca Benati
Proseguono anche per il mese di maggio i consueti INCONTRI IN BIBLIOTECA; questa volta approfondiremo insieme i contenuti di un interessantissimo volume fresco di stampa: "Pietro Porcinai. Il progetto del paesaggio nel xx secolo" edito da Marsilio e curato da Luigi Latini e Mariapia Cunico. Tale opera raccoglie il frutto di un precedente convegno internazionale di studio organizzato dallo IUAV di Venezia nel dicembre 2010 nell'ambito dei Dessiner sur l'herbe 7: Pietro Porcinai:eredità di un "modern landscape architect". Avremo con noi l'autrice di uno dei saggi in esso contenuti - l'arch.tto Francesca Benati - che ci parlerà nello specifico di: "Porcinai in Veneto: progetti, collaborazioni, committenti". Insieme alla collega analizzeremo la figura di un maestro testimone della recente storia del paesaggio italico del '900, che seppe coniugare la progettazione paesaggistica con la storia e l'innovazione dei suoi/nostri tempi, sia a livello urbano che architettonico. -------------------------------------------------------- INTRODUZIONE La figura di Pietro Porcinai (1910-1986), paesaggista tra i più significativi del Novecento europeo, esprime un capitolo emblematico, seppure isolato in Italia, del rapporto non sempre facile tra paesaggio e architettura. Nel caso di Porcinai appare interessante osservare come il lavoro di un professionista del paesaggio si avvalga con uguale intensità sia di un vivace interesse per l'architettura e la cultura artistica del proprio tempo, sia di un sapere tecnico e di una eccezionale padronanza nel campo botanico, aspetti che convergono in una visione unitaria e autonoma del mestiere. La vicenda sorprendente di Porcinai, "inventore" di una mentalità professionale e culturale in gran parte inedita nel panorama italiano del suo tempo, si arricchisce da subito dei necessari approfondimenti all'interno di un orizzonte internazionale dal quale prende forza e che gli permette di gettare uno sguardo innovativo sul progetto del paesaggio italiano. Il continuo scambio con colleghi e tecnici stranieri e il prestigio guadagnato, soprattutto dagli anni del dopoguerra, in campo internazionale, permetteranno al paesaggista fiorentino di proiettare il proprio lavoro e la propria mentalità verso un'estesa rete di committenze e di incursioni professionali (nel suo archivio oggi si conservano circa 1400 progetti), che va ben oltre la sfera convenzionale del giardino privato. Questi temi confluiscono nel volume sia attraverso la presentazione di contributi inediti sullo stesso Porcinai, con particolare riferimento al suo lavora in area veneta, sia attraverso la convocazione di paesaggisti che hanno lavorato in questo campo negli stessi anni, e con analoga mentalità. Da questo confronto emerge una riflessione sulle prospettive del progetto di paesaggio in Italia, sulla sua collocazione teorica, formativa, sulla necessità di un profilo riconoscibile all'interno di un orizzonte più ampio. (Tratto dalla quarta di copertina del Libro) ------------------------------------- PREMESSA Molto si parla di paesaggio, con una certa confusione, ma molto poco si parla di progetto, che del paesaggio è invece un'attività simbiotica, strategica in un momento di grave crisi che richiede un forte richiamo di consapevolezza. Del resto le storie del paesaggio si stanno scrivendo solo ora, in rapporto a quelle dell'architettura e dell'urbanistica, rivelando maestri di grande statura, che a volte architetti non sono, come Burle Marx, Barragàn, No-guchi, Halprin, Kiley, Kienast, Shigemori, S0rensen, e tanti altri. Così è per Pietro Porcinai. Maria Pia Cunico e Luigi Latini non potrebbero essere guide più autorevoli per accostarci alla sua figura, per la loro conoscenza di un corpo vastissimo di realizzazioni, progetti, disegni, saggi, ruoli di responsabilità assunti in organismi internazionali. Porcinai è proposto alla nostra attenzione come un testimone della nostra storia più recente del paesaggio italiano, proprio attraverso il progetto, con implicazioni che vanno oltre la sua fama, per lo spessore di un'opera di oltre mille temi che è un regesto e un esempio che dobbiamo ripercorrere per "saper vedere" ciò che oggi il paesaggio potrebbe e dovrebbe essere. Difficili i centenari, segnano un momento celebrativo, ma a volte anche impietoso, un primo distacco critico da fatti, aneddoti, leggende legati all'autore quando è ancora in vita. E il momento, molto delicato, nel quale comincia a mettersi a fuoco un bilancio e si sviluppa un duplice approccio: da una parte si tracciano delle prime sintesi, dando un ordine di importanza e di coerenza alle opere, mentre, in parallelo, inizia uno scavo filologico sui documenti, opera per opera. Questo libro è in questo senso una assoluta novità rispetto agli studi, non pochi, che lo hanno preceduto, perché apre una discussione difficile sia su una base documentaria che comparativa, portando finalmente alla luce una figura carismatica quanto rimossa, che nel Novecento rappresenta come nessun altro il paesaggio italiano per oltre cinquanta anni, per essere precisi almeno da un famoso suo discorso tenuto all'età di soli trentadue anni all'Accademia dei Georgofili nel 1942, fino alla scomparsa, nel pieno dell'attività, nel 1986. Giusto il titolo Pietro Portinai, il progetto del paesaggio nel XX secolo, perché pochi navigatori solitari hanno guidato questa avventura, figure tutte difficili, in attesa di studi che ne approfondiscano la statura, da De Vico, alla Tarpaglielo, a Page che in qualche modo si è da noi naturalizzato, a Pizzetti, ma si può dire che sia Porcinai che abbia "inventato" il paesaggio italiano moderno, opera titanica data un'eredità storica pesantissima, e che abbia evocato temi come quello dell'ecologia, allora del tutto estranei alla nostra cultura. Per molti anni è quasi l'unico riferimento di una borghesia illuminata, inventando uno stile, costruendo una serie senza fine di parchi per ville e di spazi esterni di imprese, spazi sobri e solenni, dove gli effetti sono sapientemente temperati senza dare spazio ad alcuna stravaganza, su temi sempre di respiro, per lo più privati o, se pubblici, legati comunque a un committente per grandi aziende, quasi mai urbani. L'anello concettuale da cui parte la narrazione a più voci di questo libro è lo stretto rapporto fra storia e innovazione che corre in tutto il pensiero di Porcinai, e su queste due direttrici che tendono a convergere fino a identificarsi, Latini e Cunico procedono in parallelo, dividendosi il campo per poi ricongiungersi più volte. Testimoni e storici propongono spunti originali di lettura critica fondati su documenti molto stimolanti. A monografie su singoli progetti presentate dallo stesso Latini, Franco Fanzini, Cesare Micheletti e Tessa Matteini segue una comparazione fra Porcinai e alcuni paesaggisti stranieri suoi coetanei, con interventi di Mare Treib, Udo Weilacher, Cristina Barbiani, Alan Powers e Thorbjòrn Andersson. Il paragone con maestri come Ernst Cramer, Anna e Lawrence Halprin, Jeoffrey jellicoe e Cari T. S0rensen, non diminuisce certamente la figura di Porcinai, ma sottolinea la peculiarità del suo cammino. L'opera di Porcinai non è ben conosciuta dal grande pubblico italiano ed è relativamente poco nota anche all'estero, per motivi che sono difficili da valutare. Vi è, io credo, un lato aristocratico nella sua figura che in patria non deve avere giovato, e vi è anche un lato oscuro nelle sue posizioni teoriche che soprattutto all'estero non deve essere stato perdonato, la frequentazione del mondo tedesco nel momento più buio della barbarie nazista di personaggi come Alwin Seifert, il signor "Madre-terra", leader naturalista con responsabilità criminali, sodalizio che dopo la guerra li vede ancora insieme nella fondazione deH'IFLA. Su Cesare qualcuno dirà qualcosa, sull'opera di Cesare è nostro compito parlare. Porcinai con il suo immenso lavoro offre a noi una bandiera, che è di importanza vitale per il nostro Paese, essere radicati nelle tradizioni dei nostri luoghi e allo stesso tempo essere cittadini del mondo, riscoprire questa pratica con spunti originali dopo esserne stati protagonisti nel passato. Homofaber, genio intuitivo, tempra instancabile, la velocità e la sicurezza diventano regole di una pratica creativa bulimica quanto fortunata, che alterna punte molto alte a prove invece di routine, che sembra sempre spostarsi da un tema al successivo, con il pregio di non esservi spazio di ridondanza, ma spesso senza rete. Il suo è un approccio a volte brutale, a volte raffinato, Porcinai è insieme classico e moderno, seguendo in modo libero e spregiudicato la sua ispirazione da tema a tema. Guidato - come dice Milena Matteini - da «un'idea semplicissima, eppure difficilmente trasmissibile: la sintonia con la natura», la sua è un'attitudine sostenuta da una rara competenza tecnica e da una continua necessità di sperimentare e di fare. Fra le sue opere quelle che forse mi sono più care sono il sagrato di Sant'Ambrogio a Zoagli e un giardino privato a Portofino con una piscina in trompe l'ceil con il mare, ma il meglio di sé forse lo seppe dare quando si trovò accanto a grandi architetti, come due volte con Oscar Niemeyer, che pare non abbia mai incontrato, alla Mondadori di Segrate e in una villa a Gap Ferrat. Come non fare un paragone con gli incontri-scontri fra Niemeyer e Burle-Marx? Porcinai di fronte alla creatività di Niemeyer ha la stessa autonoma forza creativa, si alimenta della forza dell'architettura e da forza all'architettura, senza cedere neppure per un momento a una tentazione coreografica. E ancor più forse la sua opera si è espressa nel giardino di Pinocchio a Collodi, accanto a due altre forti personalità, Marco Zanuso e Pietro Consagra. Penso che anche solo queste opere, fra di loro così diverse, con il loro straordinario valore motiverebbero la necessità di conoscere meglio la nostra storia, e di riportare il paesaggio italiano a pieno titolo a essere un valore essenziale della nostra cultura. Porcinai ha inventato anche da noi un mestiere, quello del paesaggista, che riscopre una nobile tradizione di impegno culturale e civile. Un forte cambiamento di mentalità è segnato dal suo passaggio, l'impatto di più di mille opere è stato un avvenimento che tuttora segna il nostro costume. Credo che noi non abbiamo ancora accolto questa sfida, a fronte di un impegno che invece è vivo e in forte sviluppo in altri paesi, dove il nome di "paesaggio" è sinonimo di progetto, con un corpo strutturato di insegnamenti, opere, trattati, autori. Questo libro è molto utile, rimuove un macigno. Sono sicuro che aprirà la strada a studi mirati, per estrarre con maggiore chiarezza quegli elementi che fanno di Porcinai uno dei padri del paesaggio italiano moderno, ma l'unico che abbia il respiro proprio attraverso una ininterrotta esperienza del progetto, di essere consapevole della ricchezza del nostro passato e al tempo stesso aperto a una visione di futuro. Credo che ne abbiamo disperato bisogno. (tratto da "Porcinai, un esempio vitale per il paesaggio italiano", di Franco Zagari, p.9-13)